Note biografiche

a cura di Marco Rossi Lecce

Carlo Erba, primogenito di sei figli, nasce il 5 gennaio del 1884 a Milano, in via Vittor Pisani 11, da Luigi e Giuditta Ripamonti. Luigi, direttore della ditta farmaceutica C. Erba, è figlio di Costantino, mercante d’arte e antiquario, fratello di Carlo Erba, il chimico proprietario della farmaceutica. Giuditta Ripamonti è figli di Ambrogio, impiegato benestante, e di Francesca Volonteri, primogenita di una nobile famiglia.

Nell’arco di dieci anni nasceranno da Luigi e Giuditta altri cinque figli: le gemelle Anna e Maria, Aldo, Costanza e Bianca, ultima nata, l’unica che resterà in vita; gli altri fratelli moriranno nei primissimi anni: Anna, Maria e Aldi di malattia, Costanza soffocata inavvertitamente dalla balia.

Carlo è avviato privatamente agli studi da educatori che gli insegnano lettere, matematica, lingua francese, ed a suonare il pianoforte e il violino. Nel 1894 è iscritto al Collegio di Merate, in Brianza, per compiere gli studi classici. Nello stesso anno nasce la sorella Bianca.

Negli ultimi anni di studio a Merate matura in Carlo la decisione di dedicarsi in futuro all’arte. È sostenuto in questo dal cugino Luigi Michelacci di Firenze, di qualche anno più grande di Carlo, e che aveva già intrapreso gli studi artistici. Fra Erba e Michelacci si stabilisce una profonda amicizia sostenuta da una fittissima corrispondenza, della quale purtroppo non restano che rari frammenti.

Tessera dell’Università di Pavia

A venti anni, Carlo realizza il suo primo lavoro a olio, un paesaggio con albero, su cui dipingerà la scritta Primo lavoro. All’incirca nello stesso periodo s’iscrive per volere del padre all’Università di Genova alla Facoltà di Chimica, com’era del resto tradizione di famiglia. In questi anni Carlo è in rapporto con gli ambienti anarchici milanesi. In proposito, Bianca Erba ricorda che il padre trovò una bomba con dei volantini nascosta da Carlo nel giardino di casa. Di conseguenza, i rapporti con la famiglia s’inaspriscono sempre di più; Carlo abbandona la Facoltà di Chimica, a Genova, e si iscrive alla fine del 1905 all’Università di Pavia a Giurisprudenza, la stessa frequentata da Filippo Tommaso Marinetti alcuni anni prima.

Nel periodo degli studi a Pavia, durante un’escursione fluviale in barca con degli amici, Carlo è morso al pollice della mano sinistra da una vipera. Un0immediata incisione con un coltellino da pipa gli salva la vita, ma non impedisce un inizio di cancrena, che in seguito gli procurerà l’amputazione della falange. Questa lieve menomazione procura a Erba difficoltà nel dipingere. Non riesce, ad esempio, a sostenere bene la tavolozza e a mischiare i colori. Si costruisce un dito di pelle imbottita, superando ogni difficoltà di lavoro. Nonostante la brutta avventura, Erba ama la natura, e in particolare la montagna. Si iscrive a un club alpino, e fra i suoi compagni di scalate e di escursioni c’è Leo Mezadri, giornalista e critico d’arte. Fra la fine del 1906 e gli inizi del 1907 Carlo abbandona definitivamente gli studi universitari a Pavia, e torna a Milano.

Carlo Erba, Carcatura di Luigi Michelacci (1908)

Nel novembre del 1908 Erba si iscrive ai corsi della Scuola libera del nudo annessa all’Accademia di Brera. La segue soltanto per un anno, avendovi per maestro Cesare Tallone. Stringe amicizia con Romolo Romani, Arnoldo Bonzagni, Carl Carrà e altri artisti. Per la prima volt,a nel dicembre 1909, partecipa alla Esposizione annuale della Famiglia Artistica, esponendovi due paesaggi. Alla mostra prendono parte, tra i giovani, anche Umberto Boccioni, Luigi Russolo e Bonzagni. Il padre di Carlo che non accetta la decisione del figlio di abbandonare gli studi per dedicarsi alla pittura, gli rifiuta qualsiasi aiuto economico. Per vivere Erba esegue delle decorazioni murali e altri piccoli lavori. Sia nel 1908 sia nel 1909 Erba trascorre dei brevi periodi a Capiro, sul lago Maggiore, altrimenti vive a Milano. Scrive a Michelacci: «Ieri combinai con Camona per alcuni studi di nudo da farsi nel suo studio, intanto esco fra la città e campagna e faccio degli studi di paese» (cartolina postale del 2-3 luglio 1909 a Luigi Michelacci).

La Famiglia Artistica è il logo di ritrovo dei giovani milanesi: «Ci si trovava tutte le sere alla “Famiglia Artistica” », ricorda Carrà, «e si discuteva insieme a colpi d’entusiasmo fino ad ora inoltrata. Romani, Bonzagni, Camona, Martelli, Erba erano con noi e di quando in quando compariva il volto rabbuiato si Ugo Valeri» (C. Carrà, Segreto professionale, Vallecchi, Firenze 1962, pp. 403-404).

Nel dicembre del 1910 Erba partecipa all’Esposizione Annuale della Famiglia Artistica, esponendovi quattro lavori. Scrive a Michelacci: «Da qualche giorno hanno inaugurato la solita mostra annuale alla Famiglia Artistica dove mandai un “crepuscolo”, un “mattino” e due “studi di paese”. Ebbi la fortuna di essere benissimo collocato, di più i miei lavori piacquero molto agli amici e ai non amici che mi lodarono sinceramente» (cartolina postale del 22 dicembre 19010).

Nel 1911 Erba partecipa alla Esposizione Annuale della Società per le Belle Arti alla Permanente con Le prime case della città. Trascorre nell’estate un periodo in montagna, durante il quale realizza studi che utilizza al ritorno a Milano, in ottobre, per dipingere quadri su temi montani (cartolina postale del 7 ottobre 1911 a Michelacci). Studia due composizioni sul tema dei Vagabondi (cartolina postale del 21-22 maggio 1911 a Michelacci). Continua intensa la corrispondenza con il cugino Michelacci.

All’inizio del 1912 esce il primo articolo monografico su Erba dell’amico critico Leo Mezadri in “La cronaca d’oro” (a. III, n. 25, Milano, gennaio-febraio 1912). All’Esposizione Annuale Anno 1912 della Permanente espone due “ricerche di colore”. Nel luglio del 1912 Erba parte per una breve vacanza al mare (cartolina postale del 12-13 luglio 1912 a Michelacci). Al ritorno lo attende il lavoro per una decorazione murale in una villa a Varese, realizzata insieme con un altro pittore (cartolina postale del 12-13 luglio 1912 a Michelacci). Ai primi d’agosto espone ai Concorsi della Fondazione Fumagalli un trittico di paesaggi, del quale fa parte Casolari di Lombardia (cartoline postali del 12-13 luglio e del 16-17 agosto 1912 a Michelacci). Sempre in agosto, Erba fa propaganda per le nomine delle giuria per l’imminente Esposizione Nazionale di Belle Arti dell’Accademia di Brera alla Permanente, appoggiando Vittore Grubicy de dragon, della lista della Famiglia Artistica, in opposizione ai candidati della Regia Accademia di Brera. Scrive a Michelacci: «Ad ogni modo Vittore Grubicy ci deve essere. È il sostegno dei giovani ed equo giudice» (cartolina postale del 2-3 settembre 1912 a Michelacci). A settembre scrive a Michelacci da Milano: «Ma qui è una morte e ne conosco parecchi per i quali la fame è all’ordine del giorno» (cartolina postale del 12-13 settembre 2012 a Michelacci).

La situazione economica di Erba è disagiata. La sorella Bianca ricorda Carlo sempre senza denari e alla ricerca disperata di piccoli lavori e che, per comprarsi tele colori, realizza cartoline e illustrazioni per fiabe su commissione. Nonostante questo, ricorda Bianca Erba, il morale di Carlo era sempre alto. Frequenta, insieme con Manfredi Polverosi, cantante lirico, suo intimo amico, i salotti milanesi di Margherita Sarfatti e di Ada Negri. A volte, a notte tarda, invitava gli amici, fra i quali Marinetti, Boccioni, Sant’Elia, i fratelli Corradini, Russolo e altri, a casa Erba (cfr. B. Erba, Profilo di un artista milanese, inedito, Archivio Carlo Erba). Bianca ricorda che, allora, rapidamente, gli artisti svuotavano la dispensa e la cantina e, mentre si accendevano infuocate discussioni di politica, d’arte e di musica, si svegliava i padre di Carlo, che infuriato cacciava via tutti da casa. «Le visite notturne, dopo il ritrovo al caffè, agli studi di Boccioni, Erba, Romani, Camona, Biazzi, Possamai e d tanti altri», ricorderà la scultore Gerolamo Fontana (Sant’Elia maestro comacino, in “La Provincia di Como”, 19 agosto 1951).

Secondo un ricordo della stessa sorella Bianca, Carlo trascorre in questi anni alcuni mesi a Firenze ospite del cugino Michelacci, dove ha contatti con Ardengo Soffici, al quale farà in seguito pervenire, attraverso Michelacci stesso, un articolo per “Lacerba” (biglietto a Michelacci, senza data).

La ricerca di Erba si fa più impegnata e intensa, e in decisiva trasformazione di prospettive. Fra il 1912 e il 1913 si data la sua esperienza più propriamente futurista, della quale rimangono diversi disegni, mentre è finora disperso il dipinto più significativo e cospicuo, Carica di cavalleria (moto in avanti). Nel 1913 Erba dipinge i quadri che caratterizzano, nella primavera dell’anno seguente, la sia partecipazione alla mostra di Nuove Tendenze, dove espone anche Carica di cavalleria (moto in avanti).

Erba, nel marzo del 1914, risulta tra i fondatori del gruppo Nuove Tendenze con Giulio Ulisse Arata, Leonardo Dudreville, Achille Funi e Giovanni Possamai ([R. Giolli], Milano: Mostra alla famiglia Artistica, in “Pagine d’arte”, Milano, a. II, n. 5, 15 marzo 1914). Insieme con Arata, Decio Buffoni Mario Chiattone, Dudreville, Funi, Gustavo Macchi, Ugo nebbia, Possamai e Sant’Elia, Erba firma il programma della prima esposizione del gruppo il 20 marzo 1914 ([R. Giolli], Milano: Nuove Tendenze, in “Pagine d’arte”, Milano, a. II, n. 7, 15 aprile 1914). Sempre a marzo, convalescente dopo una malattia, trascorre un periodo in montagna (lettera del 18 marzo 1914). Dal 20 maggio al 10 giugno seguenti partecipa, con nove dipinti e un testo di poetica in catalogo, alla Prima Esposizione d’Arte del Gruppo Nuove Tendenze, alla Famiglia Artistica a Milano, insieme con Dudreville, Marcello Nizzoli, Funi, Possamai, Sant’Elia, Chiattone, Adriana Bisi Fabbri e Ama Fidora. Durante la mostra Erba si alterna con i compagni come guida ai critici (D. Valeri, Nuove Tendenze, in “Miricae”, Ferrara, 20 giugno 1914). Secondo un ricordo di Giuseppe Sprovieri, Erba avrebbe chiesto di partecipare all’Esposizione Libera Futurista Internazionale nella Galleria Futurista a Roma, nell’aprile-maggio, incontrando però le riserve di Boccioni. Nel luglio-agosto Erba trascorre una vacanza a Riva Trigoso, in Liguria, dove realizza numerosi disegni che utilizza in seguito per realizzare delle incisione (lettera del 7 agosto 1914).

Nell’autunno partecipa all’Esposizione Nazionale di Belle Arti all’Accademia di Brera, però i con lavori precedenti a quelli di Nuove Tendenze: un trittico di fiori e altri lavori sullo stesso tema (lettere del 7 agosto e del 16 agosto 1914). In dicembre partecipa alla Mostra Intima della Famiglia Artistica.

Carlo Erba con la divisa di V.C.A., 1915

Erba partecipa forse già dal settembre 1914 alle manifestazioni interventiste insieme con gli altri futuristi. Nel gennaio 1915 partecipa, con sette incisioni, alla Mostra dell’Incisone Italiana, alla Permanente a Milano, il e Vittorio Emanuele II acquista una delle acqueforti esposte: Le trottole del sobborgo (cartolina postale del 14 marzo 1915). Nei primi mesi dell’anno Erba dipinge, dopo l’incisione, il quadro Trottole del sobborgo, che resta uno dei suoi più significativi, ormai oltre la stessa esperienza di Nuove Tendenze. Nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia Erba si arruola insieme con gli amici futuristi Marinetti, Boccioni, Funi, San’Elia, Russolo, Piatti e Sironi, il critico Mario Buggelli e il giornalista Renzo Codara del “Corriere della sera”, nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti. Il 3 giugno il Battaglione Lombardo s’installa a Gallarate, acquartierandosi in una scuola. I futuristi, nella III Compagnia, 8° Plotone, compiono allenamenti ed esercitazioni in brughiera, e organizzano due serate con spettacolo di beneficenza al Teatro Condominio. Durante la seconda serata, il 14 luglio, Erba insieme con Russolo, Sant’Elia, Funi, Boccioni, Piatti, Sironi e Bucci decora per l’occasione il teatro con grandi cartoni dipinti con motivi futuristi. «Si doveva fare una rappresentazione al teatro di Gallarate a favore delle famiglie dei richiamati», ricorderà Russolo, «e si richiese la collaborazione degli artisti del Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti. Ottenute l’autorizzazione e l’approvazione del comandante del Battaglione, si formò una commissione per la decorazione del teatro. La commissione era formata da: Sant’Elia, Boccioni, Funi, Erba ed io. Sant0’Elia come architetto ebbe per così dire la presidenza e propose di trasformare tutta la decorazione del teatro. Si trattava di fare più lunghi i fregi depurativi da applicare sulle balaustre delle file di plachi e un grande pannello decorativo da collocare sopra la porta d’ingresso. Sant’Elia disse: “Uno di questi fregi per il primo ordine di plachi lo facciamo Russolo e io; Boccioni si offerse di fare il sopraporta con un ritratto dinamico del comandante del Battaglione e a Funi ed Erba venne dato l’incarico del fregio per la seconda fila di plachi. Ci mettemmo subito al lavoro, che doveva essere pronto entro una settimana. Di comune accordo decidemmo che il nostro fregio sarebbe stato fatto con i concetti futuristici di dinamicità. Quindi ritmi di masse, profili di forme che si intersecano con fasci di luci multicolori e rendessero il senso dinamico di velocità che predomina nella vita moderna» (Un ricordo di Luigi Russolo, in “La Martinella”, Milano, a. III, fasc. X, 1958).

Durante lo spettacolo Erba si improvvisa imitatore del comico Ferravilla, creando dei momenti comici che riscuotono gli applausi del pubblico. Ed ancora, secondo il ricordo i un ex volontario, Guido Francioli di Milano, Erba faceva salire sul palcoscenico delle persone presenti fra il pubblico, e rapidamente schizzava su grandi fogli a misura d’uomo delle divertenti caricature. Il Battaglione si sposta quindi prima a Brescia, poi a Peschiera, dove si acquartiererà nella fortezza per tutto agosto e settembre. Marinetti in seguito, in un articolo sulla “Gazzetta dello sport” del 31 gennaio 1916, descriverà tra l’altro una serata con spettacolo di caffè-concerto organizzata dai futuristi nell’improvvisata caserma di Peschiera: «Ma tutto cedeva ai pugni dell’atletico pittore avanguardista Erba, che impugnando due baionette, nudo il torso tatuato col carbone, si faceva calorosamente applaudire per una sua danza eroica indiana» (F.T. Marinetti, Quinte e scene della campagna del Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automibilisti sul lago di Garda e sull’Altissimo, in “La Gazzetta dello sport”, Milano 31 gennaio e 7 febbraio 1916).

Ad ottobre il Battaglione è a Malcesine, dove inizia la sua avventura alpina sulle pendici dell’Altissimo. Erba, abituato ai disagi della montagna, si rivela un ottimo scalatore, al contrario degli amici futuristi, che equipaggiati da pianura, male sopportano il freddo e la fatica. Il 21 ottobre iniziano gli scontri per la presa di Dosso Casina, espugnato il 24. Erba vi ebbe il suo battesimo del fuoco e, se mancano le sue impressioni di questo importante avvenimento, rimangono invece le immagini fissate da lui in quei giorni di guerra: numerosi disegni eseguiti durante tutto il periodo del Battaglione, da Gallarate alla presa di Dosso Casina. In dicembre i Volontari sono in congedo, Erba torna a Milano. È del 7 dicembre un menù del ristorate L’Orologio, firmato da tutto il gruppo dei volontari milanesi, a testimonianza di un pranzo o di una cena per festeggiare il ritorno del primo periodo di guerra (documento A32, Archivio Carlo Erba).

Alla fine dell’anno Erba partecipa alla mostra concorso Per la migliore impressione di guerra indetta dalla Famiglia Artistica (e presentata insieme all’Esposizione Annuale Intima) con disegni realizzati durante il Battaglione, insieme con Bucci, Funi ed alcuni altri. Dalla giuria, composta da Gaetano Previati, Giuseppe Mentessi, Dudreville e i critici Vincenzo Bucci del “Corriere della sera” e Carlo Bozzi del “Secolo”, è premiato (con 100 Lire) dopo Anselmo Bucci (250 Lire) nella suddivisione del fondo di complessive 500 Lire, e prima di Achille Funi (75 Lire) e Lina Arpesani (75 Lire). Il verdetto sarà contestato da Boccioni, che rimprovera la giuria di non aver sufficientemente considerato il lavoro di Funi (“Gli avvenimenti”, Milano, a. I, n. 6, 30 gennaio 1916).

Carlo Erba con la divisa degli Alpini, 1916

Nel gennaio del 1916 Erba è già in montagna arruolato nel Corpo degli Alpini con il grado di sottotenente (cartolina postale del 23 gennaio 1916 alla madre). Il periodo che trascorre a Milano, fra il ritorno dal battaglione e la partenza con gli Alpini, è molto breve, ed è probabile che Erba non abbia avuto modo di lavorare (al contrario di quanto ricorda Margherita Sarfatti, La morte di Carlo Erba, in “Gli Avvenimenti”, Milano, a. III, n. 28, 15-22 luglio 1917). Durante un assalto in alta montagna Erba è ferito, sarà decorato sul campo e promosso al grado di tenente. In un’altra azione, a Punta Vallero, Valle Lepenie, il 2 novembre 1916, Erba salva la vita a due Alpini feriti, trasportandoli a braccia, uno a uno, al riparo dal fuoco nemico; per questo avrà un encomio solenne. Secondo i ricordi di Bianca Erba, Carlo ebbe delle brevi licenze, durante le quali tornava a Milano. In uno di questi brevi intervalli di distensione, Margherita Sarfatti visita il suo studio (“Gli Avvenimenti”, op. cit.). L’ultimo ricordo su Carlo Erba in vita è della sorella Bianca: Carlo torna a Milano per una breve licenza, nell’aprile del 1917, e porta dal fronte un gattino bianco che regala a Bianca. Trascorre gli ultimi giorni in famiglia, ormai i dissidi con il padre sono dimenticati, Bianca lo accompagna alla stazione, al treno che lo porterà al fronte. Le ultime parole di Erba sono di raccomandazione per il futuro della sorella e dei genitori: «…Bianca pensa tu alla mamma e la babbo, dovrete fare senza di me, lassù in montagna è un inferno, questa volta non tornerò…». Nel maggio del 1917 in una nota sulla guerra Erba scrive: «Ma perché si scrivono tante sciocchezze sulla guerra? Perché coloro che scrivono in generale non la vedono e non la vivono… Questa è la guerra che non ha vessilli e non ha inni, è la grigia uniforme monotonia di migliaia di uomini che aspettano vigilando, muoiono avanzando nell’irto groviglio di reticolati, è la musica del cannone è la rabbia delle raffiche della mitraglia. I topi che vi corrono sul viso la notte fan gazzarra nelle trincee nei rifiuti che i soldati buttan via. Topi compagni di vita come noi rintanati in gallerie di umidità e di sporcizia… Quand’uno riceve una pallottola di fucile nella testa di solito muore – ecco tutto – cade a terra, lo si raccoglie, lo si carica su una barella e lo si porta in un luogo ove sia possibile sotterrarlo. Niente di più e niente di meno…» (Nota di guerra del maggio 1917).

Nella notte dal 12 al 13 giugno del 1917, durante un assalto all’arma bianca sull’Ortigara, Carlo Erba cade colpito da una scheggia di granata. La salma è trasportata il giorno dopo, il 13 giugno, nel vallone sottostante il Passo dell’Agnello, e ricoperta con poca terra e sassi.

Dal 19 al 25 giugno il Passo dell’Agnella fu letteralmente dissodato dall’artiglieria austriaca (documento 44, Archivio Carlo Erba). La salma di Carlo Erba non fu più ritrovata, nonostante le numerose ricerche fatte a guerra ultimata. Erba riceverà la medaglia di bronzo alla memoria; gli furono dedicate delle lapidi in varie scuole milanesi.

Un ricordo è dedicato a Erba nel luglio 1917 da Margherita Sarfatti in “Gli Avvenimenti” (op. cit.) e da Anselmo Bucci in “Pagine d’Arte” (Necrologi: Carlo Erba, Milano, a. IV, n. 7, 15 luglio 1917). Balilla Pratella lo cita in Il Futurismo e la guerra, cronaca sintetica (in Noi Futuristi, Quintieri, Milano 1917, p. 130).

Il testo di Marco Rossi Lecce è stato pubblicato per la prima volta in E. Crispolti, S. Massari, M. Rossi Lecce, Carlo Erba. Una memoria nel futurismo 1884-1917 [Roma, Istituto Centrale per la Grafica, 10 aprile – 10 maggio 1981], De Luca Editore, Roma 1981, pp. 50-60.

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